venerdì 29 aprile 2011

Ritorno alla verità - Capitolo 1



Dovrei essermi abituata ormai a questo genere di situazioni, ma devo ammettere che avverto ancora un fremito quando l’uomo dietro la telecamera inizia il conto alla rovescia, il pubblico si eccita, applaudendo ed incitando, e poi si accende quella luce rossa mentre avverti il calore dei riflettori sulla pelle.

mercoledì 27 aprile 2011

Sogni di raso - Capitolo 1


Il numero che mi hanno appuntato addosso è il 215.
Sono circondata da volti sconosciuti che come me sono impegnati da ore a scaldare i propri muscoli nell’interminabile attesa di sentir pronunciare finalmente il numero assegnato. Ognuno è chiuso in se stesso e non ha voglia di parlare, su ogni viso che incrocio c’è la stessa espressione, un misto di concentrazione e terrore; mi chiedo se anche gli altri stiano sperando di essere chiamati prima che la tentazione di fuggire a gambe levate prenda il sopravvento. Per quanto mi riguarda sono circa un paio d’ore che l’idea mi sfiora la mente.
Di tanto in tanto qualcuno che ha appena terminato la sua esibizione mi passa accanto correndo e piangendo, ho visto già cinque o sei persone scappare in bagno a vomitare subito prima di sentire il proprio numero uscire dalla bocca della tizia con il microfono e quell’insopportabile cartellina che si porta sempre dietro, la odio immensamente.
Per lei, e per tutti gli esaminatori allineati su quel bancone di fronte al palco, io sono solamente un numero, una che come altri milioni di ballerini che incontrano ogni giorno ha un sogno, e probabilmente non abbastanza talento per riuscire a realizzarlo. Sono quasi certa che ci ritengano piuttosto patetici, e ne ho la conferma ogni volta che vedo quella dannata assistente alzare gli occhi al cielo quando qualcuno raccoglie velocemente il proprio borsone e scappa via tremando.
Mentre ascolto le note di Chopin arrivare dal palcoscenico dove si stanno svolgendo le audizioni, cerco di rilassarmi lasciandomi cullare da quella musica dolce e tento di ammorbidire per l’ennesima volta le punte di gesso delle mie scarpette di raso rosa. Ho riflettuto a lungo su cosa indossare per questa esibizione, alla fine ho scelto uno dei miei body neri, ci ho aggiunto un tutù corto ed un paio di scaldamuscoli bianchi, che intendo togliere non appena arriverà il mio fatidico turno. Ciuffi di capelli ribelli continuano a scappare via dal perfetto chignon che mia madre mi ha accuratamente acconciato questa mattina, non faccio che tirare fuori forcine dalla mia borsetta per appuntarne quante più possibile sui capelli, prima o poi mi forerò il cervello, credo.
Nella mia mente continuano a scorrere, come un video che si manda indietro mille volte, i passi della coreografia che ho studiato, sono quasi certa che quando salirò lassù e il riflettore mi punterà la sua luce accecante addosso, non ricorderò più nulla di quanto preparato.
Rebecca, la mia insegnante di danza, mi ha tranquillizzato per giorni ripetendomi che la sensazione del vuoto di memoria è assolutamente normale, e che una volta partita la musica i passi nasceranno da soli, basta dimenticare davanti a chi si sta ballando, e lasciarsi andare. Ma come diavolo faccio a dimenticare per chi sto ballando? Mi sto preparando per questa audizione praticamente da tutta la vita, ho presentato con cura tutta la documentazione necessaria, compresa la lettera di raccomandazione della mia insegnante che viene richiesta dalla scuola. Non ho idea di cosa Rebecca abbia scritto su quella lettera, è rimasta in aula insieme a me per ore e ore al di fuori delle lezioni, per prepararmi a questo momento, mi ha corretto milioni di volte ogni centimetro del mio corpo, dalla posizione della mia testa, alle braccia, ai piedi. So che spera molto nel mio successo, ma non può dirmelo apertamente, non vuole alimentare troppo i miei sogni, sa che questa prova è immensamente difficile: questa è la Juilliard, e tutto il mondo vuole entrarci.
La boccetta di Evian che mi sono portata dietro è ancora intatta, non riesco a mandare giù nulla, e non mangio da ieri sera, con grande disappunto di mia madre, che teme possa diventare come quelle ballerine anoressiche con le guance scavate ed un seno inconsistente. Fortunatamente l’appetito non mi è mai mancato, e con l’aiuto di un buon metabolismo, sono riuscita ad arrivare a vent’anni mantenendo intatta la struttura fisica che ho iniziato a costruire ad otto anni, quando la danza è entrata nella mia vita e non ne è più uscita.
Ci sono passioni che non si riesce a spiegare da dove arrivino e come nascano, a me è successo di cominciare a ballare perché mia madre si era accorta che non facevo altro che guardare i balletti in televisione, cercando di copiarli. Conosceva la scuola di Rebecca perché sua figlia era in classe con me, così, appena arrivata all’età giusta, mi ha iscritto.
Oggi avrebbe terribilmente voluto accompagnarmi qui, ma non gliel’ho permesso, non l’ho permesso a nessuno, né alla mia insegnante, né alla mia amica del cuore Susan, né tantomeno al mio ragazzo David, che si sarebbe mostrato emotivamente più instabile di me, rivelandosi uno scarso sostegno.
Devo ammettere che in questo momento, mentre sento vacillare tutto il coraggio che ho mostrato davanti a loro fino a poche ore fa, non mi dispiacerebbe affatto avere una mano da stringere o magari un piccolo abbraccio, ma la realtà è che sono sola, come lo sono tutti quelli che mi circondano in questo momento, e che su quel palco non ci sarà nessuno a sostenermi e dirmi che sono una brava ballerina.
Quando sento chiamare il 214 ho un improvviso attacco di nausea, prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi
- Il bagno è là dietro, se ti serve … - mi dice un tizio notando il numero sul mio body, è un altro ballerino classico, lo vedo dalla calzamaglia nera e le mezze punte logore, ha il numero 200
- Eravamo in fila stamattina, ti ricordi? – mi dice sorridendo, lo guardo distrattamente, non riesco a pensare
- Sì … sì mi ricordo, scusami, in questo momento io … -
- Lo so, capisco … io sono stato già scartato, stavo per andarmene, ma ho bisogno di riprendere fiato un momento … - mi dice serenamente, mi chiedo come faccia a non avere una crisi isterica
- Mi … mi dispiace! – dico mestamente mentre osservo la sua postura, il suo modo di gesticolare … un altro ballerino gay, come tanti altri che sono abituata a conoscere nel mio ambiente, non che siano tutti gay, una volta ho addirittura avuto una piccola storia con uno di loro, ma avevamo più o meno quindici anni e ci siamo limitati a scambiarci teneri baci senza lingua per un paio di settimane
- Io sono Frank … - mi dice allungando la sua mano destra, ricambio stringendo debolmente la mia mano tremante
- Abigail … Abby! – rispondo con un filo di voce
- Io bocca al lupo, Abby! – mi dice ammiccando, poi il concorrente numero 214 mi sfila accanto, asciugandosi il collo con un asciugamano; trattengo il respiro, l’odiosa assistente compare scrutando la sua cartellina, poi lo pronuncia, è il mio numero, è il mio turno, è la mia occasione. Sfilo velocemente gli scaldamuscoli, prendo un lungo respiro, poi mi avvio verso il palcoscenico, lasciandomi inghiottire da quella luce abbagliante.


domenica 24 aprile 2011

Cuore di donna - Capitolo 1

 

Elisabeth aprì pigramente gli occhi che il sole era già alto. Come tutte le mattine a destarla era stata l’aroma invitante della pancetta che sfrigolava insieme alle uova nella cucina al piano sottostante. Sua madre l’aveva certamente già chiamata ma per lei non c’era sveglia migliore di quel delizioso profumo; si tirò giù dal letto con un sospiro, era l’ultimo giorno in cui poteva alzarsi così tardi, l’indomani sarebbe tornata sui banchi di scuola , e benché studiare le piacesse, le dispiaceva rinunciare ai divertimenti estivi. Si soffermò davanti allo specchio intero dell’armadio e fece scivolare via la vestaglia bianca che le aveva cucito sua madre osservandosi attentamente…no, il seno non era aumentato e la sua linea snella, forse troppo, non mostrava ancora nulla di una futura donna. Molte delle sue compagne di scuola avevano già avuto il primo ciclo mestruale, e lei cominciava ad essere stanca di aspettare, ma sua madre le ripeteva che non tutte a dodici anni avevano lo stesso sviluppo e che doveva avere solo un po’ di pazienza. Rimase così a guardarsi ancora un minuto, poi prese la spazzola sbuffando e cominciò a pettinare i lunghi capelli scuri, che lei giudicava troppo ricci ed impossibili da addomesticare, soprattutto la mattina appena alzata, poi li raccolse in una coda e rimirandosi prese comunque atto della sua bellezza, le labbra erano sottili ma ben delineate, il naso piccolo e all’insù e gli occhi scuri e grandi dalle lunghe ciglia. Mentre cercava di scoprire il suo profilo migliore, la porta della sua stanza si spalancò facendola sobbalzare
- Jenny! Accidenti! Ti ho detto e ridetto di bussare prima di entrare!! -
la sua sorellina di cinque anni rimase immobile sua soglia della stanza osservando incuriosita Elisabeth che cercava di coprirsi raccogliendo la vestaglia,
- che fai tutta nuda? – chiese ingenuamente, Elisabeth si adirò e cominciò a gridare:
- non sono affari tuoi! Esci subito e chiudi la porta! – Jenny obbedì senza ribattere ed Elisabeth la udì scendere le scale accanto alla porta.
A quel punto afferrò al volo il bikini rosso che aveva ricevuto in dono da suo padre proprio quell’estate ed anche se non riusciva assolutamente a riempirlo, la faceva sentire grande e bella; lo coprì con un paio di jeans rattoppati ed una t-shirt dai mille colori e corse di sotto indossando un paio di sandali che aveva consumato indossandoli tutta l’estate.
Quando scese in cucina trovò Jenny già intenta a mangiare con gusto le prelibatezze di sua madre e quest’ultima come al solito intenta ad ultimare il suo lavoro ai fornelli avvolta nel suo grembiule verde, con i capelli raccolti in una crocchia severa, agile e in forma come di consueto:
- buongiorno! – disse senza voltarsi; Elisabeth non era mai riuscita a capire come faceva sua madre ad accorgersi del suo arrivo, anche quando lei arrivava senza scarpe di soppiatto
- buongiorno! – rispose sedendosi a tavola, sua madre le portò subito la sua razione di energia:
- dovresti trattare un po’ meglio tua sorella, Liz! Dico davvero! – le disse con tono severo
- ma è entrata senza bussare e mi stavo vestendo! – rispose sorseggiando succo d'arancia
- era tutta nuda! – disse Jenny portandosi una mano alla bocca e sogghignando
- Jenny…ricordati di bussare la prossima volta, ok? – la piccola annuì, guardando sua madre con gli stessi occhi scuri che aveva sua sorella; Megan Daniels cercò di nascondere l'emozione che l'aveva colta all'improvviso: l'espressione di Jenny era identica a quella di Liz alla sua età, e non potè evitare di ripercorrere con la mente gli anni trascorsi. Rivide chiaramente lei e suo marito sulla soglia della loro piccola casa di campagna di cui erano così orgogliosi, Ted l'aveva presa in braccio sull'uscio e l'aveva posata a terra scrutando con attenzione la dimora appena acquistata; consisteva in un salottino con angolo cottura da cui partiva la scala che conduceva alle tre camere del piano superiore...non era esattamente un castello ma la giovane coppia si sentiva al settimo cielo; Megan ricordò di aver accarezzato dolcemente il suo ventre che cominciava ad apparire leggermente più tondo pensando a come avrebbe cresciuto il loro bambino in quel luogo. Fino a quel momento niente era stato facile, le loro famiglie non volevano che si sposassero perchè Ted aveva trovato solamente lavori occasionali dopo il diploma, ma il loro amore li aveva intestarditi fino a farli decidere di lasciarsi tutto alle spalle e trasferirsi da Kansas City a quella piccola comunità fuori città, grazie anche al fatto che Ted aveva appena trovato un buon posto come operaio su una piattaforma petroliferia della zona. Megan non sapeva ancora di essere incinta quando si sposarono in fretta in una chiesetta diroccata, ma nel momento in cui lo scoprì, capì che le cose sarebbero finalmente cambiate. La casa era stata arredata lentamente nei primi anni di vita di Elisabeth, Ted aveva sempre lavorato moltissimo e Megan si era dedicata alla sua piccola creatura e a trasformare la modesta dimora nel loro nido; ora, guardando le sue bambine mangiare con gusto nell'accogliente cucina, capì di esserci riuscita
- papà viene a pranzo, mamma? – Megan sussultò come destata da un sogno, si sedette tra le figlie, non nascondendo un po’ di stanchezza:
- no Liz… in questi giorni ha da lavorare molto alla raffineria, lo vedrai questa sera a cena! – Elisabeth mise subito il broncio:
- secondo me il signor Turner lo fa lavorare troppo! –
- ma ha bisogno di lavorare, Lizzy, così tutti noi possiamo mangiare e vivere degnamente, tu sei grande ormai, dovresti capirlo questo! – rispose sua madre assaggiando un po’ di pane tostato:
- che programmi hai per oggi, tesoro? fammi indovinare: un bagno in un lago? – chiese a Liz strizzandole l'occhio
- Infatti! Andrew dovrebbe essere qui a momenti, ho già messo il costume! – rispose Elisabeth con entusiasmo
- ok, ma non tornare troppo tardi, domani comincia scuola, lo sai! –
- mamma! Mamma! Perché non posso andare anch’io a fare il bagno al laghetto? – s’intromise Jenny piagnucolando, sua madre le accarezzò i capelli amorevolmente:
- sei ancora troppo piccola, Jenny! ne abbiamo parlato tante volte, non mi fido a mandarti laggiù, potrebbe essere pericoloso! quando sarai più grande Liz ti porterà con sè! –
- ma io mi annoio! Non ho nessuno con cui giocare! – rispose battendo in pugni sul tavolo, Jenny non andava ancora a scuola e nel vicinato non c'erano bambini della sua età
- dai…oggi tireremo fuori tutte le bambole, le vestiremo e le pettineremo, che ne dici? – sul viso della bimba spuntò l’ombra di un sorriso, in un attimo aveva già messo da parte il broncio e dimenticato il motivo che glielo aveva procurato.
Elisabeth si alzò da tavola e tornò nella sua stanza a fare il letto, le piaceva la sua camera, era piccola ma poteva chiudere la porta, sedersi di fronte alla finestra e guardare la campagna sterminata che si estendeva davanti alla sua casa. Vicinissima alla finestra c'era la scrivania dove trascorreva i lenti pomeriggi invernali sui libri, ma in quel periodo dell'anno appariva disordinata e invasa di riviste adolescenziali con fotografie di personaggi troppo lontani dal suo mondo, oltre ad una quantità imprecisata di fogli dove annotava qualsiasi cosa le passasse per la testa. L'indomani la scrivania sarebbe tornata ad essere un noiosissimo piano di legno con una decina di testi scolastici allineati in bella vista; Liz la rimirò sbuffando e riproponendosi di riordinare tutto entro l'ora di cena; sistemò il suo letto e si appoggiò al davanzale della finestra. Amava il Kansas e non aveva mai desiderato vedere nessun altro posto, le piacevano la pace e la natura che ancora regnavano in quei luoghi, conosceva a memoria tutti gli alberi e gli angoli più nascosti della sua zona, e adorava lasciarsi cullare dal suono delle girandole che venivano agitate dal vento e che avevano l’importante compito di avvisare in caso di un tornado improvviso. Fortunatamente Elisabeth non aveva mai assistito ad un evento simile ma la sua famiglia purtroppo si, e gliene avevano parlato molte volte, per prepararla ed anche per soddisfare la sua curiosità.
Persa nei suoi mille pensieri, si lasciò accarezzare dal vento, attendendo l’arrivo del suo migliore amico.

giovedì 21 aprile 2011

la poesia del lago


Oggi voglio rendere omaggio alla mia incantevole Bracciano. Forse è superfluo specificarlo, ma per uno scrittore anche il luogo da dove si scrive ha la sua rilevanza. Certo, sarebbe indubbiamente più gradevole poter evitare di andare avanti e indietro dalla città tutti i giorni, con gli evidenti disagi dei ritardi che caratterizzano il nostro poco organizzato paese. Due ore per arrivare in ufficio, altre due per rientrare a casa. Tanto tempo da impiegare come lo si preferisce, sonnecchiando, oppure con una musica spaccatimpani nelle orecchie (io, per esempio, prediligo i Muse), ma, guarda caso, il passatempo preferito dai pendolari nel loro calvario quotidiano è decisamente la lettura. Sicuramente, per chi è abituato a quell'andirivieni, un'occhiata fuori dal finestrino non può che essere noiosa, io invece devo ammettere che dopo tanto tempo non riesco ancora a fare a meno di incantarmi quando il mio trenino verde comincia ad avvicinarsi alla mia zona. C'è un tratto, poco prima di entrare in paese, che sovrasta leggermente il lago: il colore dell'acqua è sempre più blu di quello del cielo, si riesce a scorgere qualche pigra barca a vela e, in lontananza, proprio dietro al Soratte, diversi monti ancora imbiancati. Bracciano si erge fiera con il suo affascinante castello a dominare quello specchio d'acqua, ma se ti volti dalla parte opposta, e guardi con attenzione, riesci a scorgere perfino il mare. Personalmente non posso che trovare estremamente poetica quell'immagine che mi accompagna ogni giorno, con il desiderio che arrivi presto l'estate, e che come ogni anno possa ritrovarmi su quella piccola e silenziosa spiaggia, ad osservare i cigni che, vanitosi, ti scrutano appena per poi passare oltre, sollevando leggermente le loro candide penne; ho nostalgia di quel silenzio quasi irreale che ti infonde serenità e leggerezza e attendo con ansia di farne ancora parte.

venerdì 15 aprile 2011

Libro 1 - Il nemico più caro - capitolo 2




Guardo l'orologio sulla mia scrivania, sono già le cinque.
Faccio ruotare la mia sedia girevole verso la finestra alle mie spalle e mi fermo un momento a guardare il sole che tramonta dietro i grattacieli, dipingendo di arancione le migliaia di vetrate che si riflettono l'una con l'altra in quel dedalo incomprensibile tipico di New York; sto pensando che forse dovrei fare una telefonata a Jason, non lo sento da diversi giorni e lui non mi chiama, so che non lo fa perché capisce il momento delicato che sto attraversando, me lo immagino in questo momento in bilico su qualche impalcatura con il casco giallo in testa, a discutere con qualche operaio maldestro. Se stasera sarò particolarmente in vena, cercherò di chiamarlo prima di crollare.
Torno a guardare la mia scrivania, il computer riflette l'immagine dello screen saver: un'incontaminata spiaggia tropicale con una palma sullo sfondo, non ho idea di cosa potrei provare nel trovarmi sdraiata al sole, non faccio una vacanza da cinque anni, e se diventerò socio dello studio ne passeranno sicuramente altri prima che possa staccare tutto e sparire per un po'. Davanti a me c'è una pila incalcolabile di cartelline e dossier, sto lavorando da tre settimane a questa faccenda, il caso Ballister, e la prossima settimana sarò in aula per la prima udienza. Ci sto dedicando praticamente ogni momento della mia vita, è un caso uguale a tanti altri che ho gestito, Timothy Ballister, noto imprenditore in tutto lo stato, accusato di corruzione e riciclaggio di denaro sporco. L'ho conosciuto quando mi è stato assegnato il caso, e sono assolutamente certa che sia colpevole come sono certa che mi chiamo Emily Fischer, ma devo comunque trovare qualsiasi cosa, un cavillo, una scappatoia, che permetta noi, la difesa, di vincere la causa. Non mi piace quell'uomo, lo ammetto, ha il classico aspetto da gangster anni 30, che possiede e manovra come un burattinaio le autorità più elevate dello stato, e sono certa che non sia troppo felice di essere difeso da una donna, ma tutto ciò non ha alcuna importanza, perché sono consapevole che da come gestirò questo caso dipenderà la decisione finale dei soci anziani nella scelta del nuovo socio.
In realtà non sono in ansia solo per il caso Ballister, c'è anche un altro problema che potrebbe impedire la mia nomina a socio dello studio, e questo problema si chiama Kevin Reynolds. Kevin è entrato a lavorare da Lodge & Bennett circa un anno dopo di me, e si è messo subito in evidenza, vincendo una causa dietro l'altra. I soci anziani sono letteralmente impazziti per lui, ha la faccia giusta, quell'espressione sfacciata ed insolente che ti convincerebbe anche che all'inferno c'è il ghiaccio; devo ammettere che non ha un aspetto niente male, i suoi capelli sono chiari, quasi biondi, e li porta sempre perfettamente ordinati e freschi di gel, il viso liscio e rasato a mettere in evidenza una mascella pronunciata ed un naso fino e lungo, gli occhi chiari e profondi, di quelli che sembrano leggerti dentro. Ha un fisico atletico, non so quando trovi il tempo di dedicarsi allo sport ma gira voce che vada in palestra, ed il risultato si nota quando indossa i suoi bei gessati grigi; ha una fama da donnaiolo, ho sentito dire dalle ragazze della segreteria che frequenta locali alla moda e che esce di lì ogni sera con una compagnia diversa, modelle per lo più. Mi chiedo come faccia a trascorrere la notte con una di loro ed arrivare alle 7 in ufficio fresco come una rosa, con un sorriso da star di Hollywood stampato su quella faccia da schiaffi, senza nemmeno una piccola traccia di occhiaie. Sembra che abbia avuto una moglie una volta, una orientale, ma che si sia separato molto tempo fa cambiando radicalmente il suo stile di vita. In realtà non me ne frega assolutamente niente della sua vita privata, ma non riesco a sopportare il modo in cui cerca continuamente di scavalcarmi, se in una giornata lavoro diciotto ore, lui ne lavora venti, se in una riunione cerco di esprimere la mia opinione o di controbattere qualcosa, lui si intromette attirando l'attenzione di tutti; la verità è che ci sono buone probabilità che la carica la ottenga lui, considerando purtroppo anche un altro elemento a mio sfavore: lui è un uomo.
Ci sono cose che non cambiano mai a questo mondo, ed una di queste è il ruolo della donna nella società, si, ti permettono di sedere alle loro scrivanie, ti affidano incarichi importanti facendoti sentire preziosa ed intelligente, poi, in fondo in fondo, sognano sempre di toccarti il culo in ascensore o di vederti accucciata sotto le loro scrivanie. Di donne così, alla Lodge & Bennett, ce ne sono fin troppe, questi compiti ardui li lascio volentieri a loro.
Sono sommersa di scartoffie fino al collo e non riesco a pensare ad altro che ad un caffè, quindi decido finalmente di alzarmi e mettere il naso fuori dal mio ufficio, apro la porta con scritto in un bel carattere dorato "Fischer" ed esco nel corridoio, un paio di ragazze della segreteria sorseggiano qualcosa dalle loro tazze fumanti, ridendo e spettegolando, vorrei avere anch'io il tempo di permettermi un momento di leggerezza, di tanto in tanto; ma ho una meta ben precisa, ed è il distributore del caffè in fondo al corridoio. Faccio ticchettare le mie Manolo Blanick di vernice nera sul pavimento lucido e raggiungo il mio obbiettivo, ma, come se me lo aspettassi già, questa stronza di macchina si inceppa e il caffè non scende; comincio a maltrattarla e percuoterla quando sento dei passi alle mie spalle, mi volto cautamente, so già che è lui. Avanza spavaldo e sicuro di sé sotto gli sguardi incantati delle segretarie e in un attimo mi raggiunge, dà un colpo secco al distributore, il liquido scuro comincia a scendere nel bicchierino di plastica
- Ci vuole un po' di polso, Emily... - mi dice scrutandomi con quegli occhi quasi trasparenti, ma cosa vuole?
- Grazie...- borbotto afferrando il bicchiere e cercando subito di darmela a gambe, ma credo non abbia capito che la nostra conversazione è già finita
- Come procede con il caso Ballister? - chiede mentre sto già per avviarmi verso il mio ufficio, mi volto, sta sbirciando la scollatura della mia camicetta bianca leggermente aperta, ora sento che potrei ucciderlo
- Procede bene, Kevin...grazie! – lui annuisce, non aggiunge altro, il suo sguardo è ancora per metà puntato lì
- Ora se non ti dispiace devo rimettermi al lavoro! -
- Certo, certo...buon proseguimento, allora... - dice infilando degli spiccioli nel distributore mentre me ne torno velocemente nel mio rifugio, chiedendomi per quale motivo mi abbia chiesto del caso Ballister, e quale altra diavoleria stia escogitando per farmi le scarpe.
Siedo al mio posto mettendomi le mani nei capelli raccolti in una stretta coda, credo di averli spettinati, ma faccio sempre così quando mi scoppia un improvviso mal di testa, tanto mia madre non può vedermi, credo.
Un attimo dopo bussano alla porta, è Philippe Lodge, il boss, il pezzo da novanta, quello che dirà l'ultima parola quando si riuniranno per decidere il socio da eleggere; entra nel mio ufficio nel suo impeccabile doppio petto nero, ha più di settant'anni e tre mogli alle spalle, ultimamente ne ha trovata una molto giovane, una soubrette di quelle che portano le buste chiuse nei programmi della tv via cavo, con il perizoma e il reggiseno push-up, ora indossa solo completi di Vera Wang e pretende di essere chiamata Signora Lodge. Credo che qualche anno fa Philippe abbia fatto qualche pensiero erotico su di me, ma quando si lavora in una giungla piena di uomini come faccio io, dopo un po' non ci si fa più caso.
- Dimmi...Philippe! - dico togliendo le mani dalle tempie e riaprendo uno dei miei fascicoli
- Volevo sapere a che punto eri con la difesa, Emily...Ballister è molto in ansia, ha paura che non abbiamo elementi sufficienti per farlo scagionare! -
- Stai tranquillo Philippe...conosco questo caso a memoria e ho raccolto abbastanza materiale... per quando verrà emesso il verdetto, Ballister sembrerà Biancaneve! - Philippe annuisce, un senso di sollievo sembra invaderlo completamente, quando si ha a che fare con gente potente come Ballister, anche un uomo come Philippe Lodge ha le sue preoccupazioni.
- Resti ancora molto? - cosa crede, che lavori in banca?
- Certo, Philippe...almeno altre tre o quattro ore, se dovessi aver bisogno di qualcosa... - annuisce di nuovo, sa benissimo che a volte rimango anche fino a notte fonda, che l'unica luce che rimane accesa è quella del mio ufficio ( e di quello di Kevin, ovviamente ), ma in questo momento qualsiasi dettaglio che mi riguarda è importante per lui, nessuno ha mai detto chiaramente che io e Kevin siamo i principali candidati a quel ruolo tanto ambito, ma in uno studio legale certe voci girano; perfino mio padre è venuto a saperlo e tutto quello che è riuscito a dirmi è " Mettici tutto l'impegno che puoi, Emily...e raggiungerai qualsiasi risultato!". Credo che non riesca a darmi soddisfazione perché in realtà non sa darsi pace, aveva fatto i suoi calcoli, io avrei sposato un uomo importante come lui e Donny avrebbe proseguito la tradizione di famiglia, ultimamente non vuole neanche sapere dove sta, e soprattutto cosa fa. Non ce l'ha con me, ovviamente, ma nella sua mentalità quello che sto facendo va contro le regole naturali della vita, anche se in fondo, nel profondo del suo cuore, so che è fiero di me e che forse un giorno me lo dirà.
Philippe se ne va con la stessa fretta con cui è entrato, ed io mi immergo di nuovo nel mio dossier, mentre fuori è calata la notte e le luci della città sono comparse come migliaia di lucciole in una sera d'estate.



martedì 12 aprile 2011

a volte il destino...



Mi piacerebbe potervi dire che trascorro le giornate seduta su una terrazza, davanti ad un portatile, con una tazza di tè accanto. Invece sono una pendolare, che viaggia circa quattro ore al giorno per lavorare in un’azienda della quale fa parte da più di dieci anni. Considerando com’è pesante la vita di un pendolare (e solo chi lo ha vissuto sa di cosa parlo), e di quanto sia faticoso portare avanti un lavoro, le faccende domestiche, la spesa e tutto il resto … non vi sarà difficile immaginare come mai questa storia dello scrivere
sia stata un po’ accantonata, negli ultimi anni. Poi un giorno è successo un fatto strano: ero in ufficio e una mia collega, Annalisa, mi ha visto scrivere una e-mail; mi ha guardata stupita e mi ha detto: “Manu, ma lo sai che scrivi proprio bene?” e io, ironizzando, le ho risposto: “Ma io sono una scrittrice, non lo sapevi?”.
Da quel momento ha iniziato a tampinarmi per leggere uno dei miei vecchi racconti. Dentro di me ho pensato: “Se smette di chiedermelo, non glielo porto”, perché fino a quel momento nessuno, e sottolineo nessuno, aveva mai letto niente di mio, neanche l’uomo che stavo per sposare. Sta di fatto che Annalisa ha insistito, così mi sono fatta coraggio e le ho portato un racconto a caso. Lei mi ha riempito di complimenti, e i racconti hanno cominciato a girare tra le mie colleghe e amiche.
Qualche tempo dopo, qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto: “Sei stata in viaggio di nozze alle Maldive, perché non scrivi una storia ambientata in un luogo esotico?”, e così, intorno a quell’idea, è nata la storia di Emily e Kevin. Quando comincio a delineare i contorni del romanzo, quando ormai l’intera storia prende vita, non c’è più niente che riesca a fermarmi, sono come posseduta. Quando ho terminato di scrivere “Il nemico più caro”, cercavo disperatamente una nuova idea, una nuova ispirazione, ma mi sono resa subito conto che non riuscivo a staccarmi da quei personaggi, che ero troppo affezionata a loro, che le cose che dovevo raccontare era ancora tante; e così ho scritto un seguito, poi un altro, e infine, l’ultimo, quello che chiude definitivamente il cerchio. Ho ancora una certa malinconia in merito ai miei due protagonisti, mi mancano, ma non ci sarebbe soddisfazione più grande nell’apprendere che vi siete affezionati a loro almeno quanto me!

lunedì 11 aprile 2011

Sogni di Raso


Abby Forlani è una ballerina classica con un unico grande sogno: entrare alla Juilliard, la prestigiosa scuola d’arte di New York. Quando finalmente il suo sogno diventa realtà, Abby si troverà ad affrontare importanti cambiamenti: il suo eterno fidanzato la lascia, incapace di accettare la sua passione per la danza, è costretta a staccarsi dal suo adorato ambiente famigliare e dall’amica del cuore per catapultarsi in una nuova vita, dove ogni giorno è una sfida da affrontare, dove incontrerà tanti artisti che non sempre si riveleranno degli amici, e dove tra difficoltà e incomprensioni, troverà anche l’amore.

Oltre la maschera



Karen Smith è una celebre ed acclamata attrice di Hollywood che sembra apparentemente condurre una vita da sogno: ha una sontuosa villa con piscina, è circondata da persone pronte a soddisfare ogni sua necessità ed è una donna desiderabile che frequenta affascinanti colleghi. In realtà Karen avverte dentro di sé un’inquietudine inspiegabile, ha un bisogno irrefrenabile di stravolgere la sua  carriera misurandosi con ruoli più complessi, si rende conto che la sua vita sentimentale è costellata di uomini che non desidera veramente, che il suo recente divorzio è una ferita ancora aperta e che quelli che si fanno chiamare amici non la conoscono affatto. Un avvenimento inaspettato e sconvolgente, le darà finalmente il coraggio di andare alla ricerca di se stessa e di lasciarsi andare agli imprevisti, scoprendo con stupore che i sogni nel cassetto non sono veramente quelli che credeva.

Ritorno alla verità



Tracy Walsh è un’affermata scrittrice di romanzi rosa che vive a New York, dividendo le sue intense giornate tra il suo lavoro, gli eventi mondani e un fidanzato insofferente ai ritmi della sua vita, che improvvisamente decide di fare a meno di lei accusandola di trascurarlo eccessivamente.
Nello stesso momento in cui Tracy deve fare i conti con un esame di coscienza ed un consistente blocco dello scrittore, apprende la notizia che sua madre, da tempo malata, è morta nell’istituto dov’era ricoverata.
Tracy è costretta quindi a recarsi nei luoghi della sua infanzia, dove si ritroverà proprietaria di una vecchia casa che ricorda vagamente, e che nasconde oscuri segreti, trascinandola in un vortice di misteri ed eventi spaventosi che la porteranno a scavare nel passato della sua famiglia.

domenica 10 aprile 2011

Libro 1 - Il nemico più caro - capitolo 1


Credo sia arrivato il momento che vada a prendermi un caffè. Sono inchiodata a questa scrivania da questa mattina alle 6, mi sono alzata solo per andare in bagno e mi sono fatta portare da Sarah, una delle segretarie dello studio, un sandwich al tonno con una bottiglietta d'acqua naturale, per evitare di perdere tempo prezioso e di uscire da qui ancora più tardi stasera.
Mi chiamo Emily Fischer e sono un avvocato. Lavoro da circa cinque anni per lo studio Lodge & Bennett e in tutti questi anni ho dedicato a questo lavoro circa diciotto, venti ore al giorno della mia vita per sei giorni la settimana.
Non posso lamentarmene, diventare avvocato è sempre stato il mio destino dalla prima infanzia, o almeno da quando è stato abbastanza evidente nella mia famiglia che mio fratello minore non avrebbe seguito le orme di mio padre.
Sono cresciuta a Manhattan, in un'elegante palazzina dell'Upper East Side, in un ampio appartamento, dalla cui terrazza si potevano scorgere a perdita d'occhio gli alberi e i prati di Central Park. Mio padre, Donald Fischer, era un avvocato di successo dello stesso studio per cui lavoro, diventandone socio più o meno quando sono nata. Durante gli anni che ho vissuto in quella casa la sua presenza è stata sempre limitata, e le poche volte in cui rientrava un po' prima dal lavoro, ricordo di averlo sempre visto nel suo studio, davanti al camino acceso, sorseggiando Brandy e sfogliando una copia del "New York Times", con indosso la vestaglia di raso bordeaux che gli aveva regalato mia madre e le pantofole dello stesso colore.
Ricordo che spesso entravo nello studio di soppiatto, e gli mostravo un disegno che avevo fatto o un compito in cui avevo preso un bel voto, lui posava il giornale, mi prendeva in braccio, mi dava un bacio sulla fronte e mi diceva "brava Emily, ora vai a letto", poi arrivava quasi sempre mia madre a ricordarmi che non dovevo disturbare papà, che papà era stanco. Era ancora un bell'uomo,  e sono assolutamente certa che nel corso degli anni abbia avuto un certo numero di relazioni con segretarie e colleghe varie, d'altronde non si poteva negare che fosse affascinante, con i suoi completi italiani firmati, i capelli scuri, lievemente brizzolati ai lati, la barba sempre perfettamente rasata, quell'atteggiamento sicuro e spavaldo tipico dell'uomo di successo.
Credo che mia madre lo abbia sempre saputo, ma che in fondo la cosa non le importasse un granché, aveva trascorso tutti gli anni del college alla ricerca approfondita di un uomo che le desse la possibilità di godersi la vita al massimo, e aveva individuato il soggetto giusto in mio padre, già destinato da almeno cinque generazioni ad una brillante carriera legale. Non era stato difficile conquistarlo, Diane conosceva perfettamente tutti i trucchi di seduzione, sapeva vestirsi e curarsi nel modo giusto, glielo aveva insegnato mia nonna. Papà dice sempre che sono la sua copia perfetta, ho gli stessi capelli castani un po' mossi, quel tipo di capelli che una mattina ti sembrano boccoli e un'altra vanno per conto loro, ho gli stessi occhi verdi, un po' allungati, un naso piccolo con una leggera gobbetta che mia madre ha corretto con la chirurgia estetica ma che a me va benissimo così,  e delle labbra grandi che ad alcuni fanno insinuare qualche intervento di collagene ma che in realtà sono più che naturali. Di mia madre ho anche la stessa costituzione, alta, snella, poco seno. L'aspetto fisico è stata probabilmente l'unica cosa che abbiamo avuto in comune, non era una donna capace di slanci o gesti d'affetto, a mia madre piaceva trascorrere le sue giornate dividendosi tra shopping, beauty center, palestre e circoli ricreativi in compagnia di altre donne ricche e annoiate come lei. Non credo di averla mai vista in tutta la mia vita impegnata in una faccenda domestica, con i capelli in disordine o una piega su un vestito; mi aveva insegnato perfettamente come abbinare una camicia ad un tailleur, che scarpe indossare per ogni occasione e come pettinarsi i capelli. Appena arrivai all'età giusta cominciò a riempire il mio armadio di abiti costosi, di decolleté con tacco a spillo insegnandomi per ore a camminare correttamente senza spezzarmi l'osso del collo; mi portava con lei nei centri estetici, lasciandomi sotto quel casco bollente mentre lei spettegolava con le sue amiche sfogliando riviste scandalistiche, combinava appuntamenti con i loro figli.
Io imparai silenziosamente ad assomigliarle, ma in realtà non volevo veder passare davanti a me tutta la vita tra un vernissage ed una pedicure, volevo diventare qualcuno, volevo essere come mio padre. Mi chiesi per anni quale miracolo avesse potuto generare la nascita di mio fratello, Donald Junior, per noi Donny, o Don, poiché mio padre mi raccontava sempre che dopo la mia nascita Diane non aveva più intenzione di avere altri figli, diceva che il suo corpo era diventato irriconoscibile e quel dolore era stato insopportabile; Don, invece, nacque solamente due anni dopo, e credo che non l'avessero programmato. Somigliava a mio padre come una goccia d'acqua e lui aveva riposto nel figlio maschio tutte le sue speranze per continuare la tradizione della professione; sfortunatamente capì molto presto che quelle preghiere non erano state affatto ascoltate: sin da bambino Don aveva mostrato segni di un carattere ribelle, poco incline allo studio e all'impegno, era spiritoso, divertente, scanzonato e buffo, tutto ciò che non deve essere un avvocato.
Io, d'altro canto, avevo sempre degli ottimi voti, ero una studentessa brillante e mi preparavo ad entrare a Yale. Non ebbi bisogno del suo aiuto per superare l'esame di ammissione, quando lasciai l'appartamento di Manhattan e mio padre mi accompagnò al mio nuovo alloggio all'interno del campus, gli dissi che sarei diventata avvocato, e per la prima volta nella mia vita, vidi i suoi occhi luccicare di commozione. Fu lì che conobbi Joy Nicholson, la mia compagna di stanza ed ancora oggi la mia migliore amica. Joy non era cresciuta a Manhattan come me, veniva dalle strade di Brooklin, i suoi genitori avevano una piccola tavola calda nel quartiere. Portava dei buffi capelli rossi che sembravano tagliati con l'accetta, i lineamenti delicati e sottili, una figura minuta. Diceva che voleva diventare avvocato perché odiava i bulli e i prepotenti e voleva difendere i più deboli, quelli che subivano in silenzio soprusi ed ingiustizie; non credo di aver mai sentito dire nulla del genere da mio padre, secondo lui l'avvocatura era una professione nobile, che ti rendeva forte e vincente, e non aveva importanza se ti trovavi a difendere qualcuno chiaramente colpevole, anzi, in questo modo potevi mettere davvero alla prova la tua vera professionalità, la tua abilità. Joy era riuscita ad entrare a Yale con una borsa di studio, e dopo la laurea era tornata a Brooklin a lavorare in uno studio pro-bono, che forniva assistenza legale gratuita ai meno fortunati. Guadagnava una miseria ma sembrava felice; ogni volta che riuscivamo ad incontrarci per un aperitivo non aveva mai l'aria affannata come me, non si chiudeva nel suo ufficio senza vedere né sorgere né tramontare il sole, Joy ascoltava ogni genere di storia e tutte le volte che ci vedevamo me ne raccontava qualcuna, che puntualmente mi metteva di cattivo umore.
Al mio ultimo anno di college, mi raggiunse anche Donny. Credo che mio padre abbia faticato molto per farlo ammettere, si iscrisse ad una di quelle confraternite piene di bellocci e scansafatiche e si fece notare per gli scherzi goliardici, attirando inevitabilmente l'attenzione di parecchie mie compagne di corso, che mi fermavano nei corridoi chiedendomi informazioni su di lui. Una volta una certa Jessica venne nel mio alloggio in lacrime, dicendo che avevo un fratello stronzo, che si prendeva gioco di lei; ogni volta che andavo a trovarlo per lamentarmi rideva come un matto, mi dava un bacio sulla fronte e mi diceva "voglio divertirmi, Emily...voglio godermi la vita!". Non potevamo essere più diversi di così, eppure ci siamo sempre voluti un gran bene.
Dopo la laurea non ne ha voluto sapere di chiudersi in qualche studio come un topo e se n'è andato in giro per il mondo, causando una lieve ipertensione a mio padre, passata con un ricovero di un paio di giorni. Adesso si trova in Giappone, non so bene a fare cosa, e l'ultima volta che l'ho visto è stato al funerale di mia madre.
Se n'è andata circa due anni fa, si trovava in palestra e da due ore correva sul tapis roulant, poi improvvisamente si è accasciata. Un ictus, hanno detto i medici. E' stata in coma solamente una settimana, durante la quale sono rimasta accanto a lei a curarle le unghie, farle le sopracciglia e pettinarle i capelli, perché so che lei avrebbe voluto così. Quando se n'è andata abbiamo avvisato Donny che si trovava in Europa, poi abbiamo organizzato un funerale degno di una regina mentre mio padre si preoccupava di ogni minimo dettaglio, probabilmente per non pensare a tutto il resto. Non l'ho visto piangere in quell'occasione, neanche quando la bara veniva calata nella terra umida, tutti i suoi e i miei colleghi più anziani erano presenti e probabilmente per lui sarebbe stato un segno di debolezza mostrarsi disperato per la perdita della moglie.
Don ripartì subito dopo e mio padre restò solo in quell'enorme appartamento, a sorseggiare ancora il suo brandy davanti al camino. Io mi stupii di non essere riuscita a soffrire per la sua morte, mi chiesi se la sua freddezza non avesse contagiato anche me, se non fosse entrata nei miei geni insinuandosi come un virus silenzioso, che rimane nascosto finché non ha l'occasione giusta per saltare fuori.
Avevo lasciato l'appartamento dei miei appena il lavoro allo studio, ottenuto ovviamente su garanzia di mio padre, aveva iniziato ad ingranare. Avevo scelto un piccolo appartamento a Park Avenue, non troppo grande, solo un modesto salotto con un angolo cottura di quelli con il tavolo a penisola e le sedie alte, una stanza da letto con un lungo armadio a coprire tutta la parete, per far spazio al mio fornitissimo guardaroba, ed un letto bianco con materasso ad acqua che adoro, infine un bagno con una doccia molto grande. Appena trasferita mi ero resa conto di quanto mi fosse mancata la figura di una madre, di quelle classiche, che indossano il grembiule la domenica e cominciano a rompere uova dentro un cratere di farina bianca. Mia madre non mi aveva insegnato neanche a preparare un uovo al tegamino, semplicemente perché non sapeva prepararlo neanche lei; da circa trent'anni, si affidava all'aiuto di Maria, la nostra fedelissima governante.
Qualche giorno dopo il mio trasloco mi aveva telefonato con aria preoccupata dicendomi "Emily cara, non avrai intenzione di lavarti il bucato da sola, spero! la figlia di Maria, Rosario, è disposta a venire a lavorare per te, ho organizzato un incontro per fartela conoscere!", e così avevo anche assunto una governante. Rosario parla un inglese misto a spagnolo che non riesco quasi mai a comprendere, ma va bene così perché tanto in casa non ci sono mai, è una donna grassoccia, robusta, che non teme la fatica e che indossa, da quando la conosco, sempre la stessa divisa celeste, con i capelli legati stretti in una coda e che canticchia con la musica nelle orecchie mentre pulisce in giro. Le ho sempre detto di non prepararmi la cena, invece ogni volta che rientro a casa trovo qualcosa nel microonde, non capisco se lo fa perché non comprende le mie parole, o perché le dispiace che abbia dei ritmi così incasinati.
Da circa un paio d'anni frequento un tipo, Jason Nolan, un ingegnere che ho conosciuto una sera che mi sono lasciata trascinare da Joy all'inaugurazione di una mostra a Soho di un certo Tyler, rimasto poi un perfetto sconosciuto. Jason si è avvicinato a me mentre osservavo perplessa un quadro che rappresentava una donna e un uomo intrecciati insieme, all'inizio non avevo nessuna intenzione di frequentare qualcuno, stavo dando il massimo per cominciare la mia scalata nello studio e quell'uomo più grande di me, con l'aria così posata, rassicurante, che mi guardava con ammirazione da dietro un paio di occhiali squadrati, rappresentava una specie di minaccia. Ma Jason non si era arreso, era riuscito tramite Tyler a contattare Joy e l'aveva convinta a darle il mio numero; avevo accettato di uscire con lui più per tenerezza che per reale intenzione, poi avevo scoperto che Jason, malgrado non apparisse eccessivamente sexy con quella lieve pancetta e le forme un po' arrotondate, era un uomo profondamente comprensivo, gentile e paziente.
A Joy non piaceva, diceva che era noioso, e forse non aveva nemmeno tutti i torti, ma sapeva rispettare i miei spazi, si accontentava di vedermi quando avevo un po' di tempo, mi aspettava senza dare in escandescenza nei locali dove gli davo appuntamento, ingurgitando un drink dietro l'altro, poi si faceva bastare quella mezz'ora scarsa di sesso che gli dedicavo quando lo facevo salire nel mio appartamento, per poi andarsene subito dopo, senza fermarsi a dormire da me. Io non glielo avevo mai chiesto e lui non provava a forzarmi, sapeva che dormivo già poche ore a notte e non voleva che a causa sua fossi ancora più stanca. Joy dice che Jason è il mio cane. Probabilmente ha ragione, ma in questo momento della mia vita non posso permettermi distrazioni, sono ad una svolta decisiva della mia carriera: la prossima settimana potrei diventare socio dello studio.


sabato 9 aprile 2011

Libro 4 - Una vita col nemico



Sono passati cinque anni da quando Emily e Kevin hanno messo al mondo la piccola Meredith, ora una
bambina intelligente e vivace, mentre Mia, la figlia di Kevin, è un’adolescente affascinante e fin troppo
precoce. Donny ha lasciato Joy e suo figlio per tornare ad una vita più avventurosa e meno monotona, con
grande disappunto di sua sorella, che non riesce ancora a perdonarglielo. La sua vita di avvocato, moglie
e madre appagata, viene improvvisamente sconvolta da un evento incredibile e da una difficile decisione,
che la porterà ad un brusco allontanamento da suo marito. Emily dovrà quindi iniziare a combattere per
riportare l’equilibrio nella sua famiglia e ricomporre i pezzi di una dolorosa rottura.

Libro 3 - Frammenti


Emily Fischer è ad un passo dal realizzare i suoi sogni più grandi: sta per sposare il suo Kevin, è in dolce
attesa, e la sua migliore amica mette al mondo il suo adorato nipotino Ray. Nulla sembrerebbe turbare la
sua serenità, ma l’arrivo improvviso dell’ex moglie di Kevin con pessime intenzioni, ed una donna misteriosa
che entra a sorpresa nella vita di suo fratello Donny, porteranno Emily sull’orlo di una profonda crisi,
spingendola verso scelte irrazionali, che sembreranno far allontanare irreparabilmente tutti gli obiettivi più
importanti.

Libro 2 - I segreti nella conchiglia



Tornata a New York per il funerale del padre, dopo aver vissuto per più di un anno in Corea con il suo
adorato Kevin, Emily Fischer si rende subito conto che molte cose sono cambiate. Cos’è successo a suo
fratello? E Kevin vorrà ancora essere al suo fianco? Dopo “Il nemico più caro”, una nuova avventura per
Emily Fischer, in una New York imbiancata e magica, che fa da cornice ad eventi imprevisti, segreti sepolti,
lacrime e sorrisi.

Qualcosa su di me e i miei primi lettori



Spesso mi sono sentita dire dalle mie lettrici, che, quando s’immergono nelle mie storie, hanno la sensazione di  vedere un film e che non faticano ad immaginare una eventuale trasposizione cinematografica dei miei romanzi. Non posso nascondere che in realtà tutto questo derivi proprio da una mia profonda ed immensa passione per il cinema, che mi è stata tramandata da mio padre sin dalla prima infanzia. Quando la pagina su cui sto scrivendo prende vita, la verità è che nella mia mente la scena che sto descrivendo è stata già vissuta, esattamente come un film, nei minimi dettagli. Chiudo gli occhi, la costruisco, e poi li riapro per scrivere quello che ho appena visto.
Ovviamente, da appassionata di cinema, il sogno più grande è quello di vedere sul grande schermo una delle mie storie, magari proprio con gli attori che ho immaginato nei panni dei miei personaggi…anche se  il rischio è di rimanere profondamente delusi, proprio come Stephen King, che si arrabbiò talmente tanto con Kubrick per come realizzò il suo “Shining” da dirigerne personalmente una miniserie qualche anno dopo. Sta di fatto che il grande feeling tra libri e cinema sembra durare nel tempo e non incrinarsi mai, nonostante i numerosi insuccessi derivati da questo legame. Che ne dite di indicarmi quelle che secondo voi sono le migliori trasposizioni cinematografiche dei romanzi più celebri?

venerdì 8 aprile 2011

Cuore di Donna



Elisabeth Daniels è una giovane fanciulla che sta per affacciarsi alla difficile età dell’adolescenza. Vive in un paese rurale del Kansas, insieme ai suoi genitori, la sua sorellina e il suo compagno di giochi Andrew.
Tutto sembra scorrere lento e tranquillo per Liz tra la scuola, i passatempi all’aria aperta e la passione per la scrittura, ma in un giorno terribile di fine estate, un evento tragico stravolge totalmente la sua esistenza.
Intrappolata in una spirale di solitudine e di difficoltà più grandi di lei, Elisabeth sarà costretta ad affrontare la vita con una crescente maturità, tra i primi amori, abbandoni, nuove o ritrovate amicizie e sorprese non sempre gradevoli; un cammino intenso ed emozionante che la porterà a diventare donna.

giovedì 7 aprile 2011

Libro 1 - Il nemico più caro - trama


Emily Fischer è un ambizioso e brillante avvocato di New York, che dedica tutta la sua vita al suo lavoro, trascurando un fidanzato fin troppo comprensivo ed un'eccentrica amica del cuore.
Tutto l'impegno e la passione per la sua professione, potrebbero finalmente essere ripagati con la nomina a socio dello studio che ha sempre sognato, ma i suoi progetti rischiano di essere intralciati da un altrettanto ambizioso e affascinante collega, Kevin Reynolds, che Emily detesta e che sfortunatamente sarà costretta a sopportare al suo fianco per un caso importante. Un viaggio dai risvolti inaspettati sconvolgerà totalmente la sua vita , catapultandola in un'esperienza straordinaria che la porterà a fare i conti con se stessa.