venerdì 28 dicembre 2018

C'era un tempo

C'era un tempo in cui il mio Natale era una vecchia casa in un paesino tra le montagne. Ogni anno si partiva tutti quanti e ci si radunava lì, in quel piccolo borgo dove i comignoli fumavano sempre, gli anziani con i maglioni pesanti sedevano al bar con il giornale tra le mani e la campana della chiesa era l'unico suono che riuscivi a percepire. Era una casa piccola, quella di mio nonno, con le scale strette, il lungo tavolo di legno con la panca e un camino che era sempre acceso. Sotto l'albero tanti pacchi che ero impaziente di scartare, e cercavo il mio nome sul bigliettino per poi provare ad indovinare dalla forma della scatola cosa potesse essere. Ma non si poteva scartare prima di mezzanotte, e su questo erano tutti irremovibili. Così dovevo aspettare, e l'orologio sopra il camino era sempre troppo lento. Non avevano questa impazienza, i grandi. Loro mangiavano con calma, e poi giocavano. La tombola si faceva con le bucce dei mandarini, e il mercante in fiera mi affascinava per le immagini delle carte, mentre scorrevo da un parente all'altro, tra le unghie laccate di mia nonna, i resti delle noci sulla tovaglia e gli spiccioli per le puntate a sette e mezzo. Lo scoppiettio della fiamma nel camino era la colonna sonora che ci ha accompagnato anno dopo anno. Oggi la tavola è molto più corta e la casa in montagna non c'è più, come buona parte di chi vi dimorava, ma il profumo dell'amore che ci univa tutti, resta uno dei ricordi più belli che una bambina possa conservare.

Cari adolescenti

Eh lo so, cari adolescenti, che ci vedete vecchi. Vi sembra strano pensare che abbiamo passato più della metà della nostra vita senza un telefono in mano, che se cercavi qualcuno, e lo cercavi veramente, dovevi procurarti una cabina o uno di quegli apparecchi che solo per digitare il numero con la rotella perdevi l'uso delle dita. Lo so che vi fa strano pensare che quando ti davi un appuntamento aspettavi sulla fiducia, e che si scriveva con carta e penna, e quando ricevevi una lettera era un'emozione fortissima. Lo so che vi fa strano pensare che per noi la musica non era il rap o il trap, che non la potevamo scaricare da spotify ma bisognava usare un ingombrante apparecchio che si chiamava giradischi, e che aveva una puntina che scorreva sul vinile, provocando un affascinante fruscio. Avevamo le cassette, cari adolescenti, che il nastro si attorcigliava sempre e per ascoltare il pezzo che ti piaceva dovevi riavvolgerlo a caso. Se volevamo vedere un film più di una volta c'era il lettore vhs, altrimenti aspettavamo che lo passavano in tv dopo averlo letto in programmazione su tv sorrisi e canzoni, e questo ci rendeva estremamente felici. Avevamo la pazienza di aspettare, noialtri, un appuntamento, una telefonata, una canzone alla radio, il momento giusto per il primo bacio, per il primo amore, per diventare grandi. La nostra vita non si contava in like, lo smile era una faccia su una maglietta, il selfie era una parola sconosciuta, e il mondo era solo reale, e non virtuale, eppure, giuro, ci siamo divertiti un sacco, così tanto che mi piacerebbe prendervi tutti per mano e portarvi laggiù, in quell'epoca lontana, di cui forse, un pochino, avreste bisogno.

Più volte














Più volte attraversai il buio della notte
come una cometa smarrita
alla ricerca di un luogo 
che mi donasse la luce.
Più volte attesi i colori dell'alba
che sapessero curare ogni ferita
di un'anima in frammenti,
e più volte sperai di trattenere
la magia di un tramonto,
per non temere la notte.
Ma quando finalmente vidi il sole,
dimenticai le stelle.

Raccontare l'amore

Se dovessi raccontare l'amore in un'unica immagine, ce n'è solamente una che mi viene in mente: quando accompagnai mio nonno nella stanza della terapia intensiva dove si trovava nonna, circondata da tubi e macchinari, con la mascherina che le nascondeva il viso a mostrare solo gli occhi. Lui, che stava male tanto o forse più di lei, si era avvicinato al letto e con tono amorevole l'aveva chiamata per svegliarla. "Lella" aveva detto, sfoderando il suo sorriso migliore, e lei aveva aperto gli occhi lentamente e nonostante la mascherina, avevo visto il suo sorriso, lo avevo visto negli occhi. Il modo in cui erano rimasti a guardarsi così, sorridendo, aveva commosso perfino la dottoressa di turno, che mi disse che se non fosse stato vietato, avrebbe voluto fotografarli per non dimenticare mai quell'immagine meravigliosa. Beh, non esiste un'immagine di quel momento, ma nel mio cuore resterà per sempre il più grande esempio di amore totale e incondizionato, che mi accompagnerà finché avrò memoria.

Avvolta nel silenzio














Avvolta nel silenzio
di nebbie che tutto nascondono,
attendo un sole che trafigga
ogni nube che lo ostacoli,
a svelare i contorni 
di mondi addormentati,
così che un albero ormai spoglio
possa sentirne il tepore sui rami,
che un fiore ancora bagnato di rugiada
possa esplodere di nuovi colori,
che un cuore in eterna
attesa della primavera,
possa scaldarsi in ogni singolo meandro,
e non sarà mai inverno,
e non sarà mai freddo.