giovedì 28 marzo 2019

A LUKE














Quando muore un personaggio pubblico c'è sempre quella soggettività nel recepire la notizia, a seconda di quanto il personaggio in questione abbia fatta più o meno parte dei nostri ricordi, del nostro vissuto. Spesso se ne fa una polemica perché, su via, non era mica tuo fratello, un parente stretto, un amico fidato, insomma, non la conosciamo questa gente, perché ti turba così tanto? Eppure ci sono perdite che ti scioccano, non tanto per la perdita in sé, ma per quello che rappresentava il personaggio. Luke Perry è uno di questi casi. Solamente la nostra generazione, gli adolescenti degli anni 90, può capire come ci fa sentire questa notizia. Perché Dylan era il simbolo di una generazione intera. Perché il martedì sera non c'eri per nessuno ma avevi appuntamento con italia uno, e il giorno dopo a scuola non si parlava di altro. Perché eravamo tutte Brenda, con la frangia troppo folta, il fratello rompiscatole e i problemi tipici di quell'età, che adesso ti sembrano stupidi. Perché con la sua morte è come se ci avessero spazzato via con un colpo gli anni 90, insieme alle canzoni dei rem, i poster alle pareti, le figurine sul diario e i sogni nel cassetto. Perché noi eravamo la generazione a metà tra il tormento e la speranza, e lui incarnava perfettamente entrambe le cose. Ciao Luke, salutaci Aaron Spelling

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