mercoledì 27 aprile 2011

Sogni di raso - Capitolo 1


Il numero che mi hanno appuntato addosso è il 215.
Sono circondata da volti sconosciuti che come me sono impegnati da ore a scaldare i propri muscoli nell’interminabile attesa di sentir pronunciare finalmente il numero assegnato. Ognuno è chiuso in se stesso e non ha voglia di parlare, su ogni viso che incrocio c’è la stessa espressione, un misto di concentrazione e terrore; mi chiedo se anche gli altri stiano sperando di essere chiamati prima che la tentazione di fuggire a gambe levate prenda il sopravvento. Per quanto mi riguarda sono circa un paio d’ore che l’idea mi sfiora la mente.
Di tanto in tanto qualcuno che ha appena terminato la sua esibizione mi passa accanto correndo e piangendo, ho visto già cinque o sei persone scappare in bagno a vomitare subito prima di sentire il proprio numero uscire dalla bocca della tizia con il microfono e quell’insopportabile cartellina che si porta sempre dietro, la odio immensamente.
Per lei, e per tutti gli esaminatori allineati su quel bancone di fronte al palco, io sono solamente un numero, una che come altri milioni di ballerini che incontrano ogni giorno ha un sogno, e probabilmente non abbastanza talento per riuscire a realizzarlo. Sono quasi certa che ci ritengano piuttosto patetici, e ne ho la conferma ogni volta che vedo quella dannata assistente alzare gli occhi al cielo quando qualcuno raccoglie velocemente il proprio borsone e scappa via tremando.
Mentre ascolto le note di Chopin arrivare dal palcoscenico dove si stanno svolgendo le audizioni, cerco di rilassarmi lasciandomi cullare da quella musica dolce e tento di ammorbidire per l’ennesima volta le punte di gesso delle mie scarpette di raso rosa. Ho riflettuto a lungo su cosa indossare per questa esibizione, alla fine ho scelto uno dei miei body neri, ci ho aggiunto un tutù corto ed un paio di scaldamuscoli bianchi, che intendo togliere non appena arriverà il mio fatidico turno. Ciuffi di capelli ribelli continuano a scappare via dal perfetto chignon che mia madre mi ha accuratamente acconciato questa mattina, non faccio che tirare fuori forcine dalla mia borsetta per appuntarne quante più possibile sui capelli, prima o poi mi forerò il cervello, credo.
Nella mia mente continuano a scorrere, come un video che si manda indietro mille volte, i passi della coreografia che ho studiato, sono quasi certa che quando salirò lassù e il riflettore mi punterà la sua luce accecante addosso, non ricorderò più nulla di quanto preparato.
Rebecca, la mia insegnante di danza, mi ha tranquillizzato per giorni ripetendomi che la sensazione del vuoto di memoria è assolutamente normale, e che una volta partita la musica i passi nasceranno da soli, basta dimenticare davanti a chi si sta ballando, e lasciarsi andare. Ma come diavolo faccio a dimenticare per chi sto ballando? Mi sto preparando per questa audizione praticamente da tutta la vita, ho presentato con cura tutta la documentazione necessaria, compresa la lettera di raccomandazione della mia insegnante che viene richiesta dalla scuola. Non ho idea di cosa Rebecca abbia scritto su quella lettera, è rimasta in aula insieme a me per ore e ore al di fuori delle lezioni, per prepararmi a questo momento, mi ha corretto milioni di volte ogni centimetro del mio corpo, dalla posizione della mia testa, alle braccia, ai piedi. So che spera molto nel mio successo, ma non può dirmelo apertamente, non vuole alimentare troppo i miei sogni, sa che questa prova è immensamente difficile: questa è la Juilliard, e tutto il mondo vuole entrarci.
La boccetta di Evian che mi sono portata dietro è ancora intatta, non riesco a mandare giù nulla, e non mangio da ieri sera, con grande disappunto di mia madre, che teme possa diventare come quelle ballerine anoressiche con le guance scavate ed un seno inconsistente. Fortunatamente l’appetito non mi è mai mancato, e con l’aiuto di un buon metabolismo, sono riuscita ad arrivare a vent’anni mantenendo intatta la struttura fisica che ho iniziato a costruire ad otto anni, quando la danza è entrata nella mia vita e non ne è più uscita.
Ci sono passioni che non si riesce a spiegare da dove arrivino e come nascano, a me è successo di cominciare a ballare perché mia madre si era accorta che non facevo altro che guardare i balletti in televisione, cercando di copiarli. Conosceva la scuola di Rebecca perché sua figlia era in classe con me, così, appena arrivata all’età giusta, mi ha iscritto.
Oggi avrebbe terribilmente voluto accompagnarmi qui, ma non gliel’ho permesso, non l’ho permesso a nessuno, né alla mia insegnante, né alla mia amica del cuore Susan, né tantomeno al mio ragazzo David, che si sarebbe mostrato emotivamente più instabile di me, rivelandosi uno scarso sostegno.
Devo ammettere che in questo momento, mentre sento vacillare tutto il coraggio che ho mostrato davanti a loro fino a poche ore fa, non mi dispiacerebbe affatto avere una mano da stringere o magari un piccolo abbraccio, ma la realtà è che sono sola, come lo sono tutti quelli che mi circondano in questo momento, e che su quel palco non ci sarà nessuno a sostenermi e dirmi che sono una brava ballerina.
Quando sento chiamare il 214 ho un improvviso attacco di nausea, prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi
- Il bagno è là dietro, se ti serve … - mi dice un tizio notando il numero sul mio body, è un altro ballerino classico, lo vedo dalla calzamaglia nera e le mezze punte logore, ha il numero 200
- Eravamo in fila stamattina, ti ricordi? – mi dice sorridendo, lo guardo distrattamente, non riesco a pensare
- Sì … sì mi ricordo, scusami, in questo momento io … -
- Lo so, capisco … io sono stato già scartato, stavo per andarmene, ma ho bisogno di riprendere fiato un momento … - mi dice serenamente, mi chiedo come faccia a non avere una crisi isterica
- Mi … mi dispiace! – dico mestamente mentre osservo la sua postura, il suo modo di gesticolare … un altro ballerino gay, come tanti altri che sono abituata a conoscere nel mio ambiente, non che siano tutti gay, una volta ho addirittura avuto una piccola storia con uno di loro, ma avevamo più o meno quindici anni e ci siamo limitati a scambiarci teneri baci senza lingua per un paio di settimane
- Io sono Frank … - mi dice allungando la sua mano destra, ricambio stringendo debolmente la mia mano tremante
- Abigail … Abby! – rispondo con un filo di voce
- Io bocca al lupo, Abby! – mi dice ammiccando, poi il concorrente numero 214 mi sfila accanto, asciugandosi il collo con un asciugamano; trattengo il respiro, l’odiosa assistente compare scrutando la sua cartellina, poi lo pronuncia, è il mio numero, è il mio turno, è la mia occasione. Sfilo velocemente gli scaldamuscoli, prendo un lungo respiro, poi mi avvio verso il palcoscenico, lasciandomi inghiottire da quella luce abbagliante.


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