sabato 7 maggio 2011

Ritorno alla verità - Capitolo 2



Le grandi foglie gialle cominciano a ricoprire i marciapiedi della città, i venditori di hot-dog la avvolgono con un intenso profumo di wurstel abbrustoliti mentre la gente sembra come al solito correre all’impazzata alla ricerca di un taxi, tenendo in una mano un bicchiere di starbucks e nell’altra buste e pacchetti di ogni genere.
Mi piace respirare profondamente l’odore di New York mentre cammino lungo la 7ma strada lasciandomi trascinare dalla folla dell’ora di punta, sono consapevole che l’inverno arriverà presto e che la neve farà la sua comparsa portandosi dietro un gelo quasi insopportabile, che ti toglie il respiro, ma non posso farci niente: adoro lo stesso quella città, in qualsiasi stagione dell’anno. 
Quando giungo finalmente davanti al bar dell’appuntamento avverto un leggero brivido, per l’occasione ho pensato di stupire Mike indossando il mio costoso cappotto rosso sopra ad un vestito cortissimo di Gucci e gli stivali neri altissimi, entro con passo disinvolto togliendomi i grandi occhiali neri per cercare meglio tra i numerosi clienti del locale il tavolo del mio ragazzo, lo scorgo quasi subito che sorseggia un aperitivo sgranocchiando qualche nocciolina.
Mi avvicino sorridendo amorevolmente, ma Mike mi accoglie con un’aria decisamente seria:
- Ah eccoti! – mi dice con poco slancio, poi il suo sguardo si sofferma sulle mie gambe lunghe, gli sono sempre piaciute moltissimo, almeno così ha sempre detto
- Sei splendida, Tracy, davvero! – aggiunge ammirandomi con un’espressione vagamente triste
- Grazie, Mike … allora, che succede?- chiedo baciandolo leggermente sulle labbra e sedendomi di fronte a lui
- Non lo so, Tracy, dimmelo tu … non ci siamo quasi più visti ultimamente! – mi risponde senza guardarmi mentre un cameriere si avvicina ed ordino distrattamente un Martini
- Ma cosa dici? Ci vediamo continuamente! – affermo risentita
- Davvero? Quando è stata l’ultima volta che siamo usciti insieme, Tracy? – rimango in silenzio un momento, cerco disperatamente di ricordare qualcosa, una cosa qualunque, una cena romantica, una passeggiata a Central Park, un drink nel mio salotto, ma ho il vuoto assoluto: Mike ha ragione, temo che l’ultima volta che siamo riusciti a trascorrere insieme qualche ora, l’ho convinto a seguirmi all’inaugurazione di una mostra a Soho, e per tutto il tempo sono stata accerchiata dai paparazzi mentre lui ingurgitava un cocktail dopo l’altro in un angolo. La verità è che con la scusa della mancanza di ispirazione per il nuovo libro non ho quasi più pensato né a coltivare il mio rapporto, né tantomeno al sesso
- Scusami Mike … hai ragione tu … sto attraversando un momento difficile, Vivien non fa che pressarmi con il risultato che passo ore ed ore seduta davanti al pc ad osservare lo schermo bianco, non hai idea di quanto sia frustrante! – lui scuote la testa con aria desolata
- Tracy … Tracy … Tracy, sempre e solo Tracy … siamo in due in questo rapporto, te ne sei mai accorta? – ascolto le sue aspre parole fingendomi arrabbiata, più che ferita
- Mike, quando ci siamo conosciuti eri perfettamente a conoscenza della situazione, sapevi benissimo che vita facevo! – ribatto cercando di non attirare troppo l’attenzione dei vicini di tavolo con il mio tono risentito
- Probabilmente hai ragione, ma all’inizio non credevo che avrei dovuto correrti dietro per tutto il paese mentre promuovi libri e partecipi a feste mondane con gente assolutamente insignificante!-
- Oh non fare l’intellettuale con me, Mike! Quello può andar bene per i tuoi studenti!! Dimmi dove vuoi arrivare, ok? – gli chiedo rendendomi pienamente conto della gravità della situazione; se questo fosse un capitolo tratto da uno dei miei romanzi, l’eroe di turno, alto, muscoloso e romantico, prenderebbe la sua amata tra le braccia e le dichiarerebbe il suo amore e la sua totale devozione, invece le parole di Mike mi arrivano come un pugno allo stomaco
- il fatto è che … io … io, Tracy, ho bisogno di una donna che abbia davvero voglia di condividere qualcosa! Che faccia una vita semplice..normale, una donna che abbia disperatamente bisogno di me … - dice con un sorriso amaro
- Mi stai scaricando, Mike? – chiedo abbassando un po’ la voce ed avvicinandomi a lui, ma mi rendo conto che ha difficoltà a guardarmi negli occhi, gioca con il suo bicchiere
- Non funziona, Tracy … lo vedi anche tu! Non riusciamo a venirci incontro, siamo troppo lontani …  – aggiunge tirando fuori un pezzo da venti e posandolo sul tavolo, ancora prima che io abbia il tempo di apparire almeno scioccata e distrutta è già in piedi a cercare di indossare velocemente la sua giacca di velluto
 – Mi dispiace … - aggiunge andandosene così, più in fretta di quanto si riesca a dire “vai al diavolo”.
Rimango  immobile ad osservare i 20 dollari, con la testa che pulsa ininterrottamente, possibile che l’abbia trascurato fino a questo punto? Dove ho sbagliato? Sono stata una schifosa egoista? In fondo so che non è giusto essere colpevolizzata per quello che sono diventata, per dove sono arrivata … non è stato affatto facile ed io ho lavorato sodo, eccome! Sono appena passati cinque anni da quando sono arrivata a New York, subito dopo la laurea a Georgetown, faticosamente raggiunta mantenendomi con gli studi grazie ad uno squallido lavoro come cameriera in un pub dove servivo i miei compagni di corso figli di papà.
Appena arrivata in città piena di buoni propositi, ho diviso un orribile monolocale al Greenwich pieno di scarafaggi con una ragazza portoricana; ho lavorato giorno e notte da Macdonalds  cercando di far leggere i miei libri a qualcuno che contasse, poi, quando stavo quasi per rinunciare dimenticando tutte le belle parole d’incoraggiamento che i miei professori avevano riservato per me negli anni del college, ho conosciuto Vivian Hataway che, pur non possedendo un briciolo di romanticismo, deve aver intuito in me la possibilità di un successo commerciale.
Il primo romanzo pubblicato “la cortigiana” è stato venduto sugli scaffali delle librerie a 7$. Un anno dopo ho lasciato il monolocale affollato di scarafaggi per l’attico di Park Avenue dove vivo ora, ho riempito il mio capiente armadio di scarpe e vestiti griffati, che fino ad allora mi ero limitata a rimirare con aria desolata dalle vetrine della quinta strada, ho iniziato a frequentare le mostre e i locali più esclusivi della città ed ho portato nel mio appartamento gli uomini più affascinanti che una città di otto milioni di abitanti più offrire.
Mentre sono lì a riflettere su com’è cambiata la mia vita e su come si appresta di nuovo a cambiare, mi si avvicina una ragazzina sui diciotto anni, con i capelli di tanti colori diversi.
- Lei è Tracy Walsh, la famosa scrittrice? – annuisco distrattamente, di solito non mi mostro scortese con i miei fans, ma la fanciulla non avrebbe potuto trovare momento meno opportuno
- Sa che sono la sua più grande ammiratrice? Ho tutti i suoi libri … le dispiacerebbe farmi un autografo? – chiede mettendomi sotto il naso un diario scolastico malconcio ed una penna mangiucchiata
- Certo, come ti chiami? – chiedo cercando di sfoderare un sorriso tanto falso quanto credibile
- Karen! – risponde la ragazzina visibilmente emozionata, scarabocchio qualcosa, poi le riconsegno il diario, lei mi ringrazia e corre via contenta, mentre al tavolo accanto al suo una coppia di anziani mi fissa insistentemente:
- John, quella è la scrittrice di quei libri che mi piacciono tanto, com’è che si chiama, non mi ricordo!! – lui fa una smorfia di disgusto, conosco quell’espressione
- Smettila, Mary, quella donna scrive solo scemenze … - dice l’uomo riservandomi uno sguardo decisamente ostile
- Stai zitto, potrebbe sentirti …  
A questo punto credo davvero di averne abbastanza, inforco di nuovo i grandi occhiali neri ed esco velocemente dal locale, tuffandomi nella folla per nascondermi con un leggero senso di conforto.
Quando rientro nel mio appartamento noto subito l’insopportabile luce intermittente della segreteria, ma stavolta decido di ignorarla completamente, mi tolgo di dosso quei vestiti con i quali avrei voluto sedurre il mio uomo e mi getto sul divano con la forte tentazione di non alzarmi più per i prossimi sei mesi; scorgo il mio inseparabile portatile abbandonato sul tavolo di vetro percependolo istintivamente come un acerrimo nemico, devo distogliere subito lo sguardo convincendomi che non è questo il momento giusto per pensare al mio nuovo libro, poi squilla il telefono, ovviamente non ho alcuna voglia di rispondere, sono quasi convinta che dall’altra parte ci sia Vivian con tono minaccioso, lascio scattare la segreteria ma la voce che ascolto è totalmente sconosciuta
- Signorina Walsh! La chiamo dalla clinica Sacro Cuore di Oak Hill, è tutto il giorno che cerco di rintracciarla, la prego, se è in casa risponda al telefono, è molto importante! – mi alzo come un razzo dalla mia comoda posizione e mi lancio sul telefono ansante
- Sono qui!! Mi scusi, sono rientrata in questo momento!! – mento inscenando l’affanno di una corsa veloce fino alla cornetta
- Oh, salve signorina Walsh! Sono Claire Brown, la direttrice della clinica! – il tono di quella donna non mi piace affatto, un brivido mi percorre tutta la schiena
- Cos’è accaduto? – chiedo cercando di dominare l’ansia, la signora Brown esita troppo, sta cercando parole adatte
- Sono davvero desolata … signorina Walsh … ma sua madre oggi è venuta a mancare … – chiudo gli occhi senza rendermi conto che sto tremando, non so esattamente cosa dire
- Com’è accaduto? – chiedo istintivamente
- Era a passeggio con un’infermiera nel parco quando ha avuto un malore … purtroppo è stato improvviso e rapido, non abbiamo potuto fare nulla … –rimango in silenzio ad osservare la città che dinanzi a me continua indifferente a correre, quella frenesia in questo momento mi risulta insopportabile
- Signorina Walsh, è ancora lì? – mi chiede la donna dall’altra parte
- Sì … sì, ci sono … - rispondo balbettando
- Lei capisce che sarebbe necessaria la sua presenza qui … abbiamo già chiamato l’agenzia funebre ma lei è l’unica parente … – continua la donna con una freddezza che quasi mi meraviglia
- Ovvio, signora Brown! Salgo sul primo volo disponibile, credo che sarò da voi domani in giornata! – aggiungo mentre nella mia testa si accavallano pensieri confusi, ricordi, ritagli di vita che mi sfuggono e non riesco ad afferrare
- Ottimo Signorina Walsh, l’aspettiamo! – dice la signora Brown, riagganciando subito dopo.
Temo di avere il tempo per fermarmi a pensare, digito subito il numero di Vivian, che risponde al primo squillo con la sua consueta allegria
- Sono Tracy! – dico apaticamente
- Santo cielo, Walsh! Dov’eri finita? Ti sei decisa a discutere un po’ del tuo nuovo libro? Hai il titolo, per caso?– mi chiede chiaramente indispettita
- E’ morta mia madre, Vivian … devo partire subito … - dico cercando io stessa di assimilare il significato delle parole che ho appena pronunciato
- Oh, mi dispiace tesoro…dove devi andare? -
- In Alabama, a Oak Hill, è lì che sono cresciuta! -
- Pensi di stare via molto? questo non è esattamente il momento giusto per sparire, Tracy!- improvvisamente mi rendo conto di non aver affatto voglia di starla a sentire
- Non ho scritto neanche una riga di quel dannato libro, ok? – grido riagganciando, poi scaglio il telefono a terra e mi getto di nuovo sul divano, improvvisamente Mike mi sembra lontano anni luce, quasi stento a credere che sia accaduto oggi, realizzo d’un tratto che non ho amici veri a cui telefonare per condividere questo momento, quel genere di amici che si precipitano in casa tua con una buona bottiglia di vino ed un cartone gigante di pizza ai peperoni.
Mi dirigo  in camera camminando come uno zombie e tiro giù il mio trolley, gettando dentro cose alla rinfusa, poi chiamo l’aeroporto, fortunatamente hanno un posto libero per domattina, mi stendo sul letto preparandomi al mio ritorno al passato, assaporando l’idea di incontrare tutti i miei fantasmi, come un esercito di soldatini in fila che mi aspettano ansiosi.

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